Quando ero piccola, molto piccola, avevo un sogno ricorrente:
ero al mio paese e, assieme a mio papà, passavo sotto il ponte che porta al mare.
Era come se lì ci fosse una fucina: fumi, vapori e molto buio.
In un angolo una donna (bionda?) con una magliettina aderente sul suo gran petto, tipo cassiera di cinema di una volta, scambiava sguardi d'intesa con mio padre.
Io ero inquieta perché non capivo come mai quella signora fosse amica di mio padre, ma poi lui mi diceva: Vedi, ....Nina, qui stanno preparando la tua biciclettina!
La mitica biciclettina che non ho mai avuto da piccola ma che mio padre, per non deludermi del tutto, mi prospettava sempre come sul punto di essere pronta per me "Ora la stanno pitturando"... "Ora le stanno mettendo i pedali" ... "Ci siamo quasi: ti stanno preparando la sella"...
Quello che non ho mai avuto il coraggio di dirgli è che a me sarebbe bastata una di quelle che si comprano già fatte!
giovedì 27 marzo 2008
venerdì 14 marzo 2008
LE ROSE
Vado al lavoro in macchina e, per evitare il traffico, percorro stradine di improbabile campagna. Limite di velocità 30 all'ora e la cosa non mi dispiace: posso permettermi di rubare le immagini dei giardinetti che contornano le case, scruto rapace negli spazi altrui a carpire con gli occhi i colori di questa primavera che stenta a decollare.
Ho una mappa ideale e diversi appuntamenti lungo la strada: la casa abbandonata e piena di calcinacci ma con due cespugli di forsizie giallo abbagliante i cui rami fioriti si allungano liberi in diagonale; invidio i proprietari dei cespugli con quegli strani boccioletti rosa che dietro al loro giallo provocano un contrasto da brivido... Poi c'è l'angolo di strada a ridosso della tangenziale dove ci sono due giovani salici piangenti che vorrei sradicare e portare con me e, quasi arrivata, nella stretta via con in fondo l'ultimo semaforo, mi dedico alla veranda di legno della penultima casa: al suo determinato ulivo, alle roselline rosa e perfino alle pansé (tra un rosso e l'altro si fanno pochi metri alla volta, ed io spengo sempre il motore, come a volermi far perdonare, appestandoli meno, dagli ignoti abitanti di quelle case dell'infelice stradina, dalla quale passiamo in troppi volendo aggirare il divieto di svolta della strada principale).
Questa mattina mi è venuto in mente delle rose di quando ero piccola: erano rose meno eleganti di quelle di oggi, confuse in mezzo a cespugli fittissimi, a fusto corto e con una quantità di petali doppia o tripla. Non troppo grandi, aprivano presto tutti quei petali rosa chiaro. Rose "spampanate" e profumate. Un profumo vero però, che non serviva metterci il naso dentro (come quei cantanti che si mangiano il microfono) ma di quelli che lo senti davvero e non solo te lo immagini.
Ho una mappa ideale e diversi appuntamenti lungo la strada: la casa abbandonata e piena di calcinacci ma con due cespugli di forsizie giallo abbagliante i cui rami fioriti si allungano liberi in diagonale; invidio i proprietari dei cespugli con quegli strani boccioletti rosa che dietro al loro giallo provocano un contrasto da brivido... Poi c'è l'angolo di strada a ridosso della tangenziale dove ci sono due giovani salici piangenti che vorrei sradicare e portare con me e, quasi arrivata, nella stretta via con in fondo l'ultimo semaforo, mi dedico alla veranda di legno della penultima casa: al suo determinato ulivo, alle roselline rosa e perfino alle pansé (tra un rosso e l'altro si fanno pochi metri alla volta, ed io spengo sempre il motore, come a volermi far perdonare, appestandoli meno, dagli ignoti abitanti di quelle case dell'infelice stradina, dalla quale passiamo in troppi volendo aggirare il divieto di svolta della strada principale).
Questa mattina mi è venuto in mente delle rose di quando ero piccola: erano rose meno eleganti di quelle di oggi, confuse in mezzo a cespugli fittissimi, a fusto corto e con una quantità di petali doppia o tripla. Non troppo grandi, aprivano presto tutti quei petali rosa chiaro. Rose "spampanate" e profumate. Un profumo vero però, che non serviva metterci il naso dentro (come quei cantanti che si mangiano il microfono) ma di quelli che lo senti davvero e non solo te lo immagini.
mercoledì 12 marzo 2008
ed io tra di voi
Grazie a qualche amica che è passata di qua ho capito un po' meglio come funziona un blog e perciò riprendo a parlare ad alta voce, così come mi sembra che con questo mezzo si possa fare, con l'ultima cosa che ho scritto, dedicata a mia madre
Chi mi pigghja certi voti
Nu malu cori stranu eppuru duci
Zirrunbicannu ’n testa assai penseri
Mi ricordu d’e cosi e i jorni toi
Non sacciu casa casa undi mi poju
Nesciu pe fora, arretu, nto giardinu
Nci sunnu erbi, nc’è fangu, nci su rosi
Mi nchjana chjanu chjanu na maja
Sula mi mentu a parrari cu tia
Si eri ca’ vicinu ti mmusciava
Undi staiu ora tuttu ti cuntava
chi fazzu u jornu e comu passu a sira
i nchjanati d’a vita e i so’ sdurrupi
i mumenti cuntenti e comu a ora
chi sugnu in pena e nenti mi cunsola
Quando tu nc’eri eu non sapia parrari
tuttu era rraggia e prescia di campari
ora su muscia e a lama è smussata
mi rendu cuntu chi passau ‘na vita
Certu sbagghiaj cu tia
e puru tu non eri “duci ‘i sali”
ma mi ricordu a sira a lu scurari
puru eu mmussata e tu puru rraggiata
chi mi dicivi “Pigghia i carti e joca!”
e ncartandu e jocandu dda partita
senza parrari ndi nducivamu a vita.
p. s. la lingua è il calabrese
un caro saluto a chicchina e
ad Ahia
Chi mi pigghja certi voti
Nu malu cori stranu eppuru duci
Zirrunbicannu ’n testa assai penseri
Mi ricordu d’e cosi e i jorni toi
Non sacciu casa casa undi mi poju
Nesciu pe fora, arretu, nto giardinu
Nci sunnu erbi, nc’è fangu, nci su rosi
Mi nchjana chjanu chjanu na maja
Sula mi mentu a parrari cu tia
Si eri ca’ vicinu ti mmusciava
Undi staiu ora tuttu ti cuntava
chi fazzu u jornu e comu passu a sira
i nchjanati d’a vita e i so’ sdurrupi
i mumenti cuntenti e comu a ora
chi sugnu in pena e nenti mi cunsola
Quando tu nc’eri eu non sapia parrari
tuttu era rraggia e prescia di campari
ora su muscia e a lama è smussata
mi rendu cuntu chi passau ‘na vita
Certu sbagghiaj cu tia
e puru tu non eri “duci ‘i sali”
ma mi ricordu a sira a lu scurari
puru eu mmussata e tu puru rraggiata
chi mi dicivi “Pigghia i carti e joca!”
e ncartandu e jocandu dda partita
senza parrari ndi nducivamu a vita.
p. s. la lingua è il calabrese
un caro saluto a chicchina e
ad Ahia
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