giovedì 26 aprile 2012

Galoppata

Ieri era il 25 aprile, una giornata che un tempo, quando le manifestazioni erano per me un appuntamento costante, mi vedeva sempre in piazza, a gridare slogan, a diffondere volantini, a cantare a squarciagola le canzoni dei partigiani.
Negli anni verdi della vita ero una militante a tempo pieno, categoria “Agit Prop” (vale a dire quelli che si facevano il culo su e giù per i cortei o davanti alle fabbriche a vendere i giornali).
Erano gli anni in cui tutti più o meno “facevano politica”, ma io ci ero portata.
Fin da bambina ho respirato l'aria polverosa della sezione del partito comunista che per mio padre era una seconda casa (infatti ci passava gran parte delle sere, anche quando non c’era riunione, giocando a dama).
Lui era sempre in prima linea nelle battaglie politiche e sindacali ed era conosciuto e riconosciuto nella  zona per generosa fede nel “Sol dell’avvenir” alla quale tutto era pronto a sacrificare (con frequenti arrabbiature e mugugni da parte di mia madre che gli rimproverava di trascurare la famiglia). Laddove dispiegava tutto il suo carisma, era negli scioperi delle gelsominaie che guidava come un vero capo popolo, con tutte le donne che lo circondavano e lo seguivano affascinate (va da sé che la gelosia di mia madre trovava pane per i suoi denti…) Sempre sul palco dell'oratore quando c'erano i comizi, "falce, martello e stella!" istruiva i contadini che venivano da lui a farsi aiutare per le pratiche della pensione, facendoli esercitare sui fac-simile delle schede elettorali.
Per noi figli fu un esempio convincente e tutti noi, chi più chi meno, ci siamo riconosciuti fatti di quella pasta. Io, fin da ragazzina, lo seguivo: mi ricordo di una volta che c’era un congresso a Polistena e ci andavamo con un pullman tutto pieno di compagni a cui, cosa buffa, potevo dare del tu anche se erano grandi.
Mi ricordo che ci affacciavamo dai finestrini e salutavamo col pugno; e di un contadino che ci rispose alzando la falce con cui stava mietendo.
Imparavo a giocare a dama e non vedevo l'ora di gettarmi nell'agone politico.


Infatti, dopo neanche un anno che ero a Milano, iscritta alla Statale, a Lingue, metà anni '70, mi buttai a pesce nell'attività politica (naturalmente con i più duri dei duri) perché sentivo che avevo una missione da compiere.
Un attivismo che non mi faceva pesare alzarmi alle cinque di mattina per essere davanti ai cancelli delle fabbriche quando entravano gli operai, perché dovevo diffondere il verbo rivoluzionario.
Che poi questi, in genere, si interessassero di più alla mia persona che alle mie idee, mi esasperava alquanto, ma continuavo indefessa a proporre loro il giornale del Partito che in pochissimi acquistavano. Il ricordo di quel periodo è legato a un generico senso di frustrazione e di incomunicabilità. Una sfasatura tra l’operaio mitizzato di cui parlavamo nelle interminabili riunioni dei collettivi studenteschi e quelli che mi facevano le battutacce.
Inutile dire che, al secondo anno di Università, i sopravvenuti impegni mi fecero trascurare gli studi iniziati brillantemente con trenta e lode in russo, lingua principale, e con il professore (il quale seppi si sceglieva i collaboratori tra i migliori allievi) che all’esame ballava sulla sedia dalla contentezza. Persi il ritmo e rimasi indietro, con un fondo di rammarico, anche per la delusione che avrei dato a mio padre. Ma per l'ideale bisognava vivere o morire, il sogno di un'umanità migliore che pareva a portata di mano era più importante di ogni altra cosa.
Per un decennio e passa lo inseguimmo quel sogno che non si realizzava mai, con ostinazione mista sempre più a delusione e poi piano piano sfumò e infine ne prendemmo atto.
Successivamente ripresi gli studi che conclusi a Storia, ma non recuperai più quei treni inesorabilmente passati una volta sola. Non ebbi comunque rimpianti, solo mi ritrovai più matura. Andai ancora alle manifestazioni, ma selezionando di più e soprattutto affrancata dal ruolo di Agit Prop.
Ho il ricordo di tante manifestazioni:
Quella ad Aviano, contro il primo coinvolgimento italiano nella guerra del Kossovo: un corteo in mezzo ai campi con accompagnamento di musiche balcaniche. Sembrava di essere in un film di Kusturica;
L’ultima con Cofferati segretario della CGIL e le musiche di Piovani, a Roma, per difendere l’articolo 18: entusiasmante (poi da sindaco di Bologna mi entusiasmò meno) ;
Ancora a Roma, quella per la pace prima dell’attacco all’Iraq, con le suore che partecipavano al corteo e quel balcone a cui un fantasioso romano aveva steso, nella giusta sequenza di colori, calzini, magliette, pantaloncini, improvvisando così la bandiera iridata;
Genova, contro il G 8 (molto dura) …
Ma, parlando di 25 aprile, rimane per me memorabile la manifestazione di Milano del 1994 (primo governo Berlusconi, Pivetti Presidente della Camera…)
Io da Mestre, una da Ascoli, le altre da Milano o giù di lì, ci siamo ritrovate in cinque sorelle.
C’era una pioggia fitta e continua, ma nessuno ci faceva caso. Qualcuno offriva il vin brulé. Una donna lanciò fiori da una finestra, gridavamo e cantavamo, il tipico senso di condivisione che  le manifestazioni riuscite sanno creare.
Ad un certo punto, con la pioggia che ci inzuppava fino alle mutande, per quella complicità e desiderio di gioco che ci unisce, io e le mie sorelle cominciammo a scandire, come fossero slogan, i versi di una filastrocca calabrese che ripetevamo da bambine:
“chiovi / chiovi / la gatta si rimovi / lu surici si marita / cu la coppula di sita”
E a chi ci chiedeva che cosa volesse dire, rispondevamo: intraducibile!

(P.S.: un recente, piccolo revival è stato quello del primo maggio dell’anno scorso in Calabria, documentato all’epoca in un post con tanto di filmato)
P.P.S.
Una delle mie sorelle presenti quel giorno alla manifestazione ha appena aperto un suo blog ed ha pubblicato una poesia e il ricordo di quella giornata. (Chi fosse interessato, trova il suo blog fra quelli che seguo. Si chiama: "serenamente-serena")

giovedì 5 aprile 2012

Il mio primo film

Sto per partire per una breve vacanza e saluto tutti gli amici, i conoscenti, i passanti. A tutti voi auguro giornate liete. Arrivederci a presto... Nina

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